V
Ora, gentili lettori, senza alcun motivo apparente, introdurrò un personaggio. La sua caratteristica principale, come potrete osservare da voi, è che non è umano.
Alieno, se ne andava in giro armato di uno smaterializzatore calibro 9.
La sua missione, salvare il pianeta e fare scorta di Moretti.
Tale alieno, di nome Mary, intratteneva una sorta di relazione amorosa e clandestina con un essere umano, tale Moira.
Una specie di copertura.
Si bulleggiava di essere alieno come tanti personaggi famosi, quali Tom Jones, Obama, Berlusconi e Iva Zanicchi e se non gli si credeva, minacciava gli astanti con il suo calibro 9, anche se a volte mancava la presa e minacciava gli astanti con una boccia di Moretti.
Amava il ping pong, il calcetto (portiere), la Moretti, Moira (almeno così diceva in giro), e il suo smaterializzatore (ma nessuno glielo vide mai usare).
Diceva di venire da un atollo lunare, nei pressi di Torrita.
Mi riuscì bene una notte di sostenere una discussione con suddetto Mary insieme a Debby, già dileguatosi nei pressi della jungla del sabato sera, attorno all’esistenza dei numeri impari, per poi passare all’emerito argomento delle bestemmie in campo straniero.
Era vero che gli italiani imprecavano a Dio e alla Madonna in quantità maggiore rispetto a russi, francesi, inglesi,indonesiani o turchi? Ma gli alieni del satollo lunare di Torrita bestemmiavano? E come? Quanto?
Più di noi italiani?
-Madonna cieca in una valle di spigoli!
Attebasile ci sorprese con una bestemmia carpiata del terzo tipo. Non era certo la prima volta che si distingueva fra la folla. Nel frattempo, infatti, si era già cosparsa gli abiti di Braulio.
-Cavolo ragazzi! Per ripigliarmi da un giovedì sera mi serve un intero fine settimana…così non va bene per niente!
Ciondolò via.
La discussione con Debby e Mary proseguì per altre sette ore, senza raggiungere un risultato soddisfacente. A dire il vero la contesa si spostò sulla questione se lo smaterializzatore di Mary fosse realmente un calibro 9 oppure qualcosa tipo un liquidator.
Il giorno dopo, al risveglio, in camera mia pareva fosse esplosa una bomba.
Panna era pronta a mostrarmi il vestito da lei cucito.
Nel giro di pochi giorni, poco più di una settimana, si sarebbe verificato l’evento che avrebbe completamente cambiato la vita della coraggiosa sarta: la sua sfilata di moda.
Pisa, alta classe, ma è uno sballo! Spremute d’arancia e bicchieri di cristallo! Pieno centro storico, eleganza allo stato brado; donnine in ghingheri all’ultimo grido piene di prosecco.
Panna, in veste di ambasciatrice di se stessa, avrebbe dato vita a un nuovo corso stilistico, preannunciando una più affascinante epoca dell’alta moda internazionale.
Era però ancora presto per parlarne; sarebbe ancora dovuto accadere.
Nel frattempo, serviva anche a me un fine settimana per riprendermi da un giovedì sera.
Coupè, anch’essa con gli abiti cosparsi di Braulio, scorse in quello che, ahi!lui, era un piccione morto, una rana viva e gigante li lì per zomparle addosso dotata di una aggressività mai vista da essere umano, esploratore che fosse, aggredendola con zanne roboanti e squame velenose.
Dalla cornetta del telefono suggerii di saltarla e poi entrare in casa, semplicemente. Oltretutto, ad averlo saputo prima, era comunque morto.
Dotato di innumerevoli capacità di trasformazione però, questo animale incuteva a Coupè grandi timori e preoccupazione, in quanto la bestia diveniva ai suoi occhi prima rana assassina, poi coccodrillo delle paludi di sabbie mobili, drago sputa fuoco e infine uno Spitfire.
Quella che alla mente ribaltata come un k-way della giovane protagonista appariva oramai come una guerra in stile ottocentesco, rischiava a quel momento di frantumare la sua già instabile percezione della realtà, costringendola alla fuga e alla richiesta di aiuto.
Giunse allora Mary, armato di tutto punto con solo una boccia di rum al posto dello smaterializzatore, a salvare la sventurata.
Versò il rum sul piccione morto e gli diede fuoco, così, in mezzo alla via.
Leggende del luogo suggeriscono che Mary fosse arrivato volando.
Anche il piccione, però.
Il giorno dopo la discussione sui numeri impari di Debby fu invece all’insegna del sonno.
Gli capitò di sognare di come sarebbe stata la sua vita se quindici anni fa durante le festività natalizie fosse stato meno cattivo; una specie di favola di natale di Dickens, con lo spiritello che ti porta in giro a guardare dalle finestre dentro le case altrui.
S’era sognato a capo di una azienda produttrice di pace, merce ridotta a mero bene di consumo, acquistabile. Il mondo in sempiterna guerra ruotava attorno ad un unico essere umano in grado di garantirne la continuazione, seppur con la pace. Se non c’è pace non c’è da far guerra perché, senza una valvola di sfogo, la belligerante arte umana più abbietta non riesce ad esprimersi.
VI
(BELEZA ES TU CABEZA)
E mi venne voglia di andare all’estero; mi colse in piena notte.
Una strana e ripetitiva e ridondante voglia in formato bisogno che colpisce un italiano su uno; quelli che non la subiscono mai si contano sulle dita di due dita.
L’ultima esperienza in terra straniera risaliva ormai a cinque o più mesi fa, in Spagna.
Un viaggio che merita un riassunto.
Partivo con questo oroscopo:
In questo mese tutto procederà a gonfie vele, poiché tutti avranno qualcosa di positivo da raccontare alla fine di questo Agosto di vacanze! Non abbiate paura di farvi avanti, anche nelle situazioni più impensabili, perché è il momento giusto per provare nuove sensazioni e per mettersi in gioco da questo punto di vista!
Aveva ragione.
Peccato che non avesse previsto lo sfacelo di ogni tenerezza di lì a un mese, con il placido zampino di tesi di laurea, nervosismi e psicomitomani arrivate al momento e nel posto sbagliato, con strane pretese sulla mia persona e sul mio amore. Come ho già detto, amo chi mi ama, odio chi mi ama troppo.
Ma torniamo al viaggio.
Io, Enawinehouse, Cinderella, Ronson Rosalia Watson, Vucinic e Camomilla partivamo da Orio al Serio, atterraggio a Valencia, dove avremmo dovuto cercare Carrer del music Hipolit Martinez, 10, indirizzo dell’amico un tempo conosciuto come Pierpa e ora riconosciuto come El Gordo.
Agosto sfogava tutto il suo terribile calore sulla nostra carovana di bagagli e persone. Il caldo faceva salire dalla città tutti gli odori dell’estate, non sempre piacevoli, costringendoci inoltre a lunghe pause fra una gita e l’altra, o a eterni riposi in casa del Gordo, assetati di anguria e melone bianco, creando sfide all’ultimo sangue per il cruciverba sul tavolino di vetro.
Jefferson Airplane nello stereo, sulle pareti poster di Reservoir dogs, Los Delinquentes, Scarface, Muchachito che presentava su nuevo disco, una mapa dels paisos catalans, un disegno di Snoopy sparato nel cielo, protetto solo da un casco da bici.
Fuori dalla finestra, Valencia, riflessa in uno dei suoi palazzoni anni ’60, bianco, terrazzato, e i panni ad asciugare.
Placa de Benimaclet, Barrio del Carmen, Placa de la Virgen, el Jardin del Turia, il Gulliver, Placa Adjuntament, de Sant Agustì, de Toros, si aprirono ai nostri occhi.
Noleggiammo delle biciclette e degli strani carretti a pedali all’alquiler de bicis, misurandoci con l’infinita lunghezza del Turia, fino alla Ciudad de las ciencias, rischiando di ribaltarci in un fosso pieno d’acqua.
Decidemmo per Barcelona come prossima meta. Salida a Valencia Norte, ore 6: 40, llegada a Barn. Sants, ore 9: 39.
Fui l’unico a perdere il treno, causa Salvezza, un ragazzo che cercava casa a Siena e che l’aveva trovata a casa mia proprio nel momento meno opportuno. Mi trovavo infatti a litigare con la Guardia Civil di Valencia per motivi ancora da stabilire (il mio sacco a pelo era risultato essere sospetto), mentre questo insistentemente chiamava.
In realtà il vero motivo per il quale persi la corsa fu la capocciata che presi la sera precedente, mentre litigavo con la brocca di sangria.
41, 10 euro di biglietto buttati via.
Raggiunsi gli altri con il treno successivo, ore e ore dopo, quando ormai Enawinehouse, indicibilmente provocata dal caldo, voleva a tutti i costi riposarsi all’ombra della Sagrada Familia.
La Pedrera ci accolse già stremati, il Barrio Gotico coraggiosamente decisi a vedere ancora la città, la Rambla ci distrusse, Barceloneta ci raccolse.
Il ristorante cinese ci accarezzò lo stomaco.
La notte si dormì a Barrio Gotico, al primo piano di un ostello, con le urla e gli schiamazzi di una città sempre viva che entravano prepotenti e felici dalla finestra. Non chiusi occhio per tutta la notte, ma mi sentivo consapevolmente cullato dalla frenetica vitalità umana. Ero serenamente colpito da quello schiaffo di colore e luce che si agitava fra il vetro aperto del nostro balconcino e la piccola via sotto di noi, trafficata, percorsa instancabilmente da turisti e catalani, sempre pronta ad accogliermi nel suo sciamare di uomini nel caso avessi preferito passeggiare piuttosto che tentare di dormire.
Il giorno dopo era il nostro ultimo giorno a Barca. Catedral de la santa Creu, Baixada de la Gloria, Parc Guell e il Portic de la Bugadera, dove un chitarrista suonava Stand by me, la Ribera, el Raval della Ciutat Vella, casa Battlò, Placa Catalunya, il Port Vell.
Come se fossi stato ancora lì, a cercare una fontanella dove riempire la bottiglia, a svoltare l’angolo per trovarmi faccia a faccia con un felafel, a riempirmi gli occhi con le case di Gaudì.
Impareggiabile.
L’odore di Barcelona, il suo colore, la sua gente, resteranno per sempre nella mia mente.
Soprattutto il felafel.
Impareggiabile.
Tornando, nella notte cullata dallo scorrere della corriera sull’asfalto, sostammo pochi minuti a Tarragona e a Castellon, anche se a noi parve di essere nel mezzo del nulla.
Usciti dalla stazione di Valencia, un Hummer limousine, qualcosa che non osavo nemmeno sognarmi, si fece le beffe di noi e della nostra giovanile bellezza, riflettendo sulla sua carrozzeria stralucida le nostre facce stanche e sconvolte.
In quelle vacanza trovammo il tempo anche per un po’ di mare. Destinazione Murcia, dalla quale saremmo partiti alla volta de La Manga, sul Mar Menor, assieme a Gusy (lui) e Roma(lei), due vecchi amici erasmus in toscana l’anno prima.
Più a sud si andava, più la canicola si faceva opprimente, opprimendo tutte le nostre energie.
Mangiammo molto pesce.
Dormimmo in spiaggia, risvegliandoci come se ogni ricordo della sera precedente fosse stato rinchiuso in una bolla; ricordare non era facile perché, si sa, se scoppiava la bolla, spariva anche l’aneddoto. Qualcuno avanzò l’ipotesi che avessimo sotterrato Cinderella, fino al collo.
S’era infatti svegliata faccia nella sabbia, in una buca.
La ricerca di un bar per la colazione non fu cosa facile, con l’opprimente calore che già dalle prime ore del mattino era calato, come una falce, sui turisti dalla pelle bianchissima. Ne trovammo uno affacciato sul mare verde e limpido, con molta ombra tutta per noi, adatto a smaltire ogni eccesso ingerito o perpetrato nella notte.
Ricordai che la sera prima, disteso col naso in su, pensai: -Guarda quanto cielo! E quante stelle…sotterriamo Cinderella??